“Carisma e Creatività”: dalla presentazione di casi e buone pratiche verso nuovi scenari per il patrimonio culturale delle comunità di vita consacrata
Carisma e creatività. Questo binomio, composto da due termini apparentemente assai diversi e distanti, eppure così strettamente correlati l’uno con l’altro, è stato scelto come titolo per il convegno internazionale che si è celebrato a Roma, presso la Pontificia Università Antonianum, il 4-5 maggio scorso, dedicato alla catalogazione, alla gestione e ai progetti innovativi per il patrimonio culturale delle comunità di vita consacrata.
L’obiettivo dei promotori (il Pontificio Consiglio per la Cultura e la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, in collaborazione con l’Ufficio Nazionale per i beni culturali e l’edilizia di culto della CEI, il Dipartimento dei Beni Culturali della Chiesa della Facoltà di Storia e Beni Culturali della Chiesa della Pontificia Università Gregoriana, l’Unione Internazionale delle Superiori Generali, l’Unione Superiori Generali, il Segretariato Assistenza Monache e il Dipartimento di Architettura dell’Università di Bologna) era quello di individuare, attraverso una rigorosa selezione, mediante referaggio anonimo, alcuni casi di studio e buone pratiche da presentare innanzi alle autorità ecclesiastiche, ai rappresentanti degli ordini religiosi, alla comunità scientifica e a tutti gli altri interessati.
L’importanza di questo evento emerge dal fatto che, per la prima volta, si è posto l’accento su una parte trascurata, eppure così significativa, del patrimonio culturale della Chiesa e delle Nazioni nelle quali questi beni si situano, se non, addirittura, dell’umanità intera. Si tratta di beni che, in casi sempre più frequenti, a causa dell’invecchiamento e della costante riduzione del numero dei religiosi, appaiono difficili da gestire e sempre più a rischio di appropriazioni indebite, illecite alienazioni, speculazioni edilizie ed abbandono. Per questi motivi, occorre puntarvi i riflettori e gettare su di essi una nuova luce.
Emblematico nel sottolineare la necessità di un nuovo approccio è apparso il messaggio che, letto in sala da Mons. Carlos Azevedo, il Santo Padre Francesco ha rivolto ai partecipanti al convegno. «Il problema [della dismissione e del riuso del patrimonio immobiliare]» – ha affermato il Pontefice – «va affrontato non con decisioni improvvide o affrettate, ma all’interno di una visione complessiva e di una programmazione lungimirante, e possibilmente anche attraverso il ricorso a comprovate esperienze professionali. La dismissione del patrimonio è un argomento particolarmente sensibile e complesso, che può attirare interessi fuorvianti da parte di persone senza scrupoli ed essere occasione di scandalo per i fedeli: di qui la necessità di agire con grande prudenza e accortezza e anche di creare strutture istituzionali di accompagnamento in favore delle comunità meno attrezzate».
La questione, di per sé già complessa con riguardo alla generalità del patrimonio ecclesiastico, lo diventa ancora di più se ci si concentra sul patrimonio specifico delle comunità di vita consacrata, che non possono usufruire del finanziamento derivante dall’8 per mille dell’IRPEF e che non sono state interessate, finora, da iniziative mirate di conoscenza e valorizzazione su ampia scala.
Prendendo, ad esempio, il caso italiano, negli ultimi decenni la Conferenza Episcopale Italiana ha intrapreso alcuni importanti progetti, con riguardo ai beni culturali di proprietà delle parrocchie e delle diocesi. Si pensi, tra gli altri, al censimento delle chiese e all’inventariazione dei beni mobili, artistici, librari e archivistici, riversati sul catalogo telematico Beweb, costantemente aggiornato e consultabile liberamente da chiunque. Non altrettanto è stato effettuato in relazione ai beni dei religiosi, e questo per diversi ordini di motivi: l’autonomia dei singoli istituti e delle singole case appartenenti al medesimo istituto; la diversità dei carismi e delle modalità organizzative interne; la scarsa presenza di personale qualificato e la mancanza di una piena consapevolezza circa il valore culturale e sociale rivestito da questi beni per una comunità ben più ampia rispetto a quella meramente congregazionista.
I partecipanti al convegno, oltre 150 persone in presenza e altre 100 collegate telematicamente, hanno potuto ascoltare e successivamente dibattere quindici interessanti interventi, alcuni di ordine più generale e introduttivi rispetto alle diverse problematiche, altri più specifici, concernenti casi concreti di catalogazione, inventariazione e fruizione di beni archivistici e bibliotecari, di allestimento di musei ovvero di gestione e riuso di beni immobili, per finalità sociali e culturali, talvolta aprendosi a collaborazioni con altri enti, ecclesiastici, pubblici o privati. Tali presentazioni, illustrate da oratori provenienti da Belgio, Canada, Croazia, Francia, Italia, Perù, Senegal e Stati Uniti, sono state precedute da interventi istituzionali e da sei relazioni introduttive, ad opera di relatori invitati di chiara fama.
I testi di tutti questi interventi, unitamente ad altri contributi, ritenuti meritevoli di essere conosciuti, ma che per ragioni di tempo non hanno potuto essere esposti, saranno raccolti e pubblicati in un volume che uscirà nei prossimi mesi. Intanto, in attesa di leggere, commentare e approfondire ulteriormente questi elaborati, saranno rese disponibili le registrazioni audio/video degli interventi in quattro lingue (italiano, inglese, francese, spagnolo) e si potranno considerare i dati esito del questionario che è stato sottoposto alle comunità religiose, i cui risultati sono stati esposti in sede di convegno. Esso indica che, secondo il campione che ha risposto, corrispondente a 21.129 case, la valorizzazione dei beni immobili si riduce nel 41% dei casi ad una mera alienazione, nel 24,5% alla stipula di un contratto di locazione e solo nel 21% a progetti più strutturati di valorizzazione sociale e/o culturale.
In una prospettiva futura, alla luce delle risultanze del convegno, si dovrebbe auspicare che, sulla scia delle linee guida, emanate dal Pontificio Consiglio della Cultura nel 2018, all’esito del convegno Dio non abita più qui?, un nuovo documento possa essere adottato dal competente dicastero della neoriformata Curia Romana, onde continuare l’opera di sensibilizzazione delle comunità religiose presenti in tutto il mondo intorno a queste tematiche, tratteggiando chiaramente quali strade dovranno essere percorse: da un lato la fedeltà al carisma proprio di ciascun istituto; dall’altro la creatività nelle modalità concrete di attuazione e di perpetuazione del medesimo carisma all’interno delle nostre società, sempre più secolarizzate e multiculturali. Una sensibilizzazione che appare ancora più necessaria, alla luce degli esiti del già menzionato questionario, secondo cui soltanto metà delle comunità che hanno risposto si è dotata di una qualche forma, seppur parziale o sporadica, di catalogazione dei propri beni.
Un’ulteriore e promettente pista di indagine appare ravvisabile, da ultimo, in una specifica attenzione alla nozione, di recente acquisizione nell’ambito del dibattito internazionale, di “patrimonio culturale immateriale”, ovvero il cosiddetto Living Heritage, che non deve essere considerato come una sorta di “museificazione” delle pratiche e dei riti che scandiscono la vita comunitaria dei religiosi, ma come un mezzo per documentare, catalogare, preservare e trasmettere alle future generazioni un’eredità culturale e religiosa unica, fatta di silenzi, di canti, di preghiere, di meditazioni, di produzioni artistiche e artigianali di qualità, attraverso cui si rende visibile l’invisibile e si manifesta il rapporto di questi uomini e donne di fede con il creato e con Dio.
In altre parole, occorre attivare nuovi processi, mediante una rinnovata apertura di mente e cuore, senza avere paura di assumere scelte coraggiose e di coinvolgere tutte le forze attive, in primis i laici impegnati e i professionisti preparati nei diversi campi, in grado di supportare e accompagnare le decisioni che i membri dei singoli istituti dovranno assumere. Solo così, attraverso un’attenta indagine scientifica interdisciplinare e un confronto aperto con tutte le comunità, sarà possibile immaginare un futuro per questi beni, materiali e immateriali, che molto possono e potranno ancora offrire, in termini di carisma e di creatività, alla nostra società civile.
Davide Dimodugno *