La partecipazione liturgica sempre più fallisce. Il plenarismo ambientale e il determinismo liturgico applicati agl’interni chiesastici comportano il rischio che importanti settori della vita ecclesiale perdano valore; non trovando un luogo dove esprimersi si atrofizzano, mentre le persone non possono più trattenersi, passeggiare e incontrarsi. D’altro canto, i processi di innovazione urbana sono oggi dimentichi del senso aggregativo e meditativo dello spazio religioso. Nella casa della Chiesa, ciò che è profano può trovare, invece, posto in quanto, come scrive Crispino Valenziano in Architetti di chiese, “a favore” del tempio, “a vantaggio” della santità del tempio vivente che è l’ecclesia.
Per questo dall’anno scorso è stata intrapresa una sperimentazione didattica presso la Scuola di Architettura Urbanistica e Ingegneria delle Costruzioni del Politecnico di Milano con il laboratorio intensivo di progettazione Church for the Future (responsabile accademico Marco Bovati, didattica a cura di Tino Grisi, tutor Andrea Marcuccetti) che ha avuto il contributo e l’attenzione della Chiesa italiana e del quale, nel giro di un solo anno e con giovani allieve e allievi di 10 nazionalità diverse, tra il 20 e il 30 luglio scorsi si è tenuta, sotto forma di Summer School, la terza edizione di cui mostriamo di seguito i risultati.
La sua proposta educativa mira ad approfondire gli aspetti spaziali di nuovi “tipi” architettonici spirituali in una città e una società poliedriche. La chiesa del futuro, infatti, sarà una risposta variabile e modulata, parte attiva della urbanità polimorfica. Essa potrà accogliere contemporaneamente diversi spazi, così come differenti momenti all’interno dello stesso spazio, rappresentando un “tema narrativo” che comunica la propria presenza a tutti.
Il metodo per abitare la chiesa nel futuro è: fare spazio e dare spazio. L’architettura deve saper raccontare una storia di accoglienza e fraternità. La chiesa del futuro è un campo di possibilità, uno spazio aperto a nuove forme di espressione della fede e della spiritualità. Questo implica una continua ricerca e un’apertura al dialogo con il mondo e le altre tradizioni religiose. La chiesa deve essere un laboratorio di idee e progetti, mantenendo viva la tensione verso il trascendente e l’infinito.
Lo spazio per il culto pensato come ambiente ibrido è un incoraggiante simbolo della credibilità della Chiesa nel XXI secolo. Diversi usi possono essere concepibili, senza tuttavia offuscarne la chiarezza spirituale e il suo programma teologico. L’uso ibrido apre la chiesa allo spazio urbano, che beneficia della sua posizione speciale. D’altro canto, la comunità, a sua volta, beneficia dell’uso condiviso da parte di altre organizzazioni e gruppi, non solo dal punto di vista finanziario ma anche sociale. In una prospettiva teologica, si tratta di un’opportunità per un nuovo modo di essere nel mondo nell’era della Chiesa post-popolare.
Per “ibridazione” intendiamo il fatto per cui vari attori entrano in gioco con logiche differenti nell’utilizzo di uno spazio condiviso. Ciò suscita aspettative di “sinergia”, intesa come un arricchimento reciproco generato dall’uso condiviso. Inoltre, vi sono aspettative di “simbiosi”, implicando che una parte dipenda dall’altra e non potrebbe esistere senza di essa.
Lo scenario delle proposte progettuali è stato questa volta un terreno simbolico della rigenerazione urbana della città di Milano: la Biblioteca degli Alberi, il multiforme spazio verde aperto tra le torri di Porta Nuova. Due porzioni del parco sono state individuate come ambiti possibili di inserimento di “luoghi-dimora” spirituali in grado di “oltrepassare”, con misura e raccoglimento, la bigness metropolitana.
È stato possibile distinguere una logica di “simultaneità”, intesa come condivisione dello stesso spazio, organizzato secondo diversi scenari possibili. Si considera quindi la possibilità di un unico ambiente sferico adattabile attraverso intersezioni mobili, consentendo variabili disposizioni celebrative e la coabitazione con attività pastorali (progetto Ardito, Giana, Kajitani, Nunez)
In alternativa, vi è una logica di “separazione”, intesa come la giustapposizione di diverse aree di utilizzo che comunicano tra loro pur rimanendo autonome. Più spazi sono aggregati in una forma aperta, distinguendo l’aula liturgica dai luoghi per altri tipi di incontro della comunità, ma possono anche fluire uno nell’altro generando una scena rituale del tutto nuova (progetto Cetkovic, Wang, Yang, Zhong)
Infine, c’è una logica di “annessione”, intesa come la continuità tra spazi interni ed esterni, con nuove forme di utilizzo situate in prossimità immediata dell’edificio, con transizioni fluide e processi di negoziazione alle soglie tra le diverse logiche di condivisione. È in questo caso una scala più intima, quella che è stata denominata “cappella urbana”, segno di demarcazione rispetto al normale quotidiano e insieme stimolo di apertura che coinvolge lo spazio aperto limitrofo (progetto Hananditya, Pan, Sun).
Tutti i gruppi partecipanti al workshop sono stati introdotti per la prima volta all’esperienza dell’intelligenza artificiale generativa di immagini spaziali quale stimolo immediato al progetto. Lavorando su loro prompt originali e partendo dall’interno della questione spaziale, studentesse e studenti hanno raccolto e discusso idee visualizzate in tempo reale, per poi riversarle con successo nello sviluppo intensivo delle proposte architettoniche. Church for the Future si lega così a Spiritual A.I. rappresentando un’innovativa intersezione tra spiritualità e tecnologia; abbraccia la fusione dell’intelligenza artificiale con lo sguardo contemplativo, offrendo una prospettiva nuova su come concepiamo e interagiamo con gli spazi ecclesiali.
Gruppo Ardito_Giana_Kajitani_Nunez
Gruppo Cetkovic_Wang_Yang_Zhong
Gruppo Hananditya_Pan_Sun