COLTIVATORI DI SICOMORI | QUALE RAPPORTO TRA FEDE E CULTURA?

Se pensiamo alla cultura contemporanea oggi in Italia e nel mondo, abbiamo sempre più la sensazione di trovarci in un universo pieno di contraddizioni e di ambiguità. Senso di smarrimento e di vuoto, sentimento di angoscia e di terrore di fronte alle stragi nel mondo, difficoltà di creare forme di solidarietà e di condivisione tra i popoli, tutto sembra condurre verso un orizzonte opaco, di tenebra, ben lontano da quel destino luminoso descritto nell’ultimo libro della Bibbia, con la discesa della Gerusalemme celeste, città della comunione e della pace, della riconciliazione e della luce.  Non possiamo restare indifferenti di fronte a tante immagini di morte, d’indifferenza e di violenza, proposte da tanta arte contemporanea come modelli per l’immaginario individuale e collettivo. È allora possibile pronunciare una parola critica? Dal punto di vista della fede, come interpretare queste espressioni artistiche? In senso generale, qual è il rapporto fede/cultura?

A questo riguardo mi ha colpito una conferenza dell’allora cardinale Joseph Ratzinger in cui, riprendendo un’immagine di Basilio il Grande (+379), si chiede come sia stato posto il dialogo tra il vangelo e la cultura greca agli inizi della diffusione del cristianesimo. Basilio si riallaccia alla presentazione che il profeta Amos fa di se stesso, definendosi: “Pastore sono e coltivatore di sicomori” (7,14). La traduzione greca del libro del profeta, la LXX, chiarifica il senso dell’espressione: “Io ero uno, che taglia i sicomori”. La traduzione si fonda sul fatto che i frutti del sicomoro devono essere incisi prima della maturazione prevista in pochi giorni. Basilio, riallacciandosi a Is. 9, 10 scrive:“Il sicomoro è un albero, che produce moltissimi frutti. Ma non hanno alcun sapore, se non li si incide accuratamente e non si lascia fuoriuscire il loro succo, cosicché divengano gradevoli al gusto. Per questo motivo, noi riteniamo, (il sicomoro) è un simbolo per l’insieme dei popoli pagani: esso forma una gran quantità, ma è allo stesso tempo insipido. Ciò deriva dalla vita secondo le abitudini pagane. Quando si riesce a inciderla con il Logos, si trasforma, diviene gustosa e utilizzabile”.

Partendo da questa immagine, Ratzinger sottolinea da un lato la grandezza del paganesimo e le sue potenzialità, dall’altro la sua insipidezza. Il paganesimo necessita di un cambiamento che non distrugga la sua sostanza, ma che sia in grado di dargli la qualità che manca. Il frutto resta tale, ma è trasformato. Anzi, i suoi frutti, che avrebbero rischiato di essere gettati, diventano commestibili e gustosi, grazie a un’incisione che purifica e risana. Se applichiamo questa immagine a ciò che è proprio della cultura umana, significa che il Logos, la Parola di Dio, deve incidere i frutti dell’uomo, per purificarli, renderli buoni e fruibili, conducendoli alla loro purezza e maturità. Tuttavia, hanno bisogno di “coltivatori di sicomori”, che intervengano con competenza, conoscenza dei frutti e del loro processo di maturazione.

L’immagine proposta da Basilio è illuminante. Il vangelo non sostituisce le diverse culture, non cerca di rivestirle, per dare loro un sapore diverso, cambiando la natura del frutto. Le trasforma internamente perché diventino feconde. Evangelizzare non significa sovrapporre una cultura cristiana a una cultura laica, ma vivificarla e fecondarla dall’interno. Il vangelo è chiamato a incarnarsi nelle singole culture. Ma per questo, deve farsi taglio, incisione che purifica e porta il frutto a maturazione. Segna una rottura. Una ferita. Tuttavia, proprio per questa sua incisione, sa porsi come momento critico delle diverse culture, lasciando che il loro succo fuoriesca, che quanto è inutile e dannoso sia gettato.

Ritornando all’arte contemporanea (potremmo riferirci alla cultura di oggi), il taglio condurrà a un discernimento tra bene e male, tra vita e morte, tra ciò che promuove la persona e quanto invece la nega. In questo senso, l’espressione artistica di oggi è chiamata a farsi incidere dal Logos, perché sappia valorizzare i suoi semi vitali e le sue forze vive, lasciando fuoriuscire quel succo di morte che rende i frutti insapori, da scartare. Questa incisione è il luogo di una conversione. Senza questo taglio, buona parte dell’arte di oggi rischia di essere un frutto che può avere anche grande “successo” per la sua “genialità”, ma che resta inutile, privo di gusto, “cattivo”. Occorre che il Logos incida le diverse forme della cultura, perché si trasformino in annuncio della vita, promessa di una speranza. Ma per questo, sono necessari bravi “coltivatori di sicomori”.

 

 

 

 

 

 

La foto di copertina è di Giuseppe Marcantonio

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