Intervista a Rodolfo Balzarotti a cura di Michela Beatrice Ferri
Dal 12 marzo 2015 all’ 8 aprile 2015 presso la Biblioteca Umanistica di Santa Maria Incoronata a Milano (in Corso Garibaldi, 116), i Crocifissi di William Congdon hanno accompagnato la conclusione del percorso quaresimale. Si è trattato dell’esposizione di quattordici crocefissi del maestro americano William Congdon – nato artisticamente a New York con Pollock e Rothko – nell’esposizione curata da Rodolfo Balzarotti e da Giovanni Gazzaneo. La mostra, promossa dalla Fondazione Crocevia e dalla The William G. Congdon Foundation, ha accompagnato l’esposizione del “Crocefisso, 18” dell’artista nella chiesa di San Raffaele Arcangelo (via San Raffaele, Milano), dal 18 febbraio al 24 maggio 2015.
Il catalogo della mostra, intitolato “William Congdon. Opere sacre” presenta testi critici di: Enzo Bianchi, Rodolfo Balzarotti, Paolo Biscottini, Massimo Cacciari, Giovanni Gazzaneo, Domenico Sguaitamatti, una postfazione di Andrea Gianni, presidente dell’Associazione Sant’Anselmo, e contributi inediti dello stesso William Congdon.
Durante la mia intervista a lui, Rodolfo Balzarotti si riferisce a William Congdon chiamandolo “Bill”. «Bill ha conosciuto da vicino le seducenti contraddizioni della New York degli anni Cinquanta, la città delle grandi opportunità ma al tempo stesso dei terribili eccessi. Dopo aver esposto insieme a Pollock e a Rothko, a Kline e a De Kooning, Congdon scelse di spostarsi in Italia. Qui incontrò la fede cattolica e con essa un nuovo modo di intendere la sua missione di artista. Milano ospita con la mostra dedicata ai Crocefissi quattordici crocefissi – sette sono inediti – dipinti tra il 1960 e la fine degli anni Settanta. Quella dell’ultimo degli “action painter” è una vicenda umana e artistica profondissima. Bill fu tra i volontari dell’esercito americano che, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, partecipò alla liberazione del lager di Bergen Belsen. Poi vicino alla “New York School” – al circolo dei cosiddetti “irascibili” – si stringe attorno alla figura carismatica di Jackson Pollock. L’ambiente artistico della città non offre però al pittore risposte sufficienti: da qui la scelta di tornare in Europa, in Italia».
Una volta rientrato in Italia dove visse e come visse come convertito al cattolicesimo? «Dieci anni vissuti a Venezia, la maturazione della conversione al cattolicesimo e il battesimo ricevuto ad Assisi: fu così che dall’inizio degli anni Sessanta, Bill Congdon si serve della pittura come tramite per esprimere la propria tensione verso l’eterno, un linguaggio per sondare attraverso la fede gli insondabili misteri dell’assoluto. Contribuendo a scrivere una pagina importante nella difficile storia dell’arte sacra contemporanea, operando un sincretismo iconografico che guarda con devozione ai primitivi toscani del Duecento ma anche al sofferto espressionismo di Roualt».
Rodolfo Balzarotti, le chiedo di parlarci del “Crocefisso, 18” in mostra nella chiesa di San Raffaele Arcangelo. «Anzitutto occorre dire che il Crocefisso 18 di Congdon costituisce un esempio privilegiato del confronto problematico tra il linguaggio artistico contemporaneo e l’iconografia cristiana tradizionale. Si tratta del primo dei Crocefissi di quell’importante stagione della produzione artistica di Congdon che prende avvio nel 1966 ed in cui l’artista si dedicò a questa tematica. La figura di Cristo si staglia chiara contro un fondo omogeneo di color bruno scuro. Si noti che la croce è appena visibile, e il corpo – rigido come quello di un tragico e grottesco burattino – è appeso con gli arti che si presentano come innaturalmente stirati, di un colore rosaceo e livido al contempo. In questa rappresentazione, la riduzione delle parti “nobili” del corpo – il busto e la testa – porta in evidenza le mani e i piedi che sigillano il Cristo alla croce come macchie informi. Si può pensare a come Bill Congdon sia rimasto impresso dalle figure che vide nel campo di Bergen Belsen. E si noti che questa figura non è spenta, ma sprigiona una sorta di energia».