IL MUSEO DIOCESANO TRIDENTINO | TRENTO

La formazione del Museo Diocesano Tridentino

La fondazione del nostro museo risale agli inizi del secolo: promotore di questa iniziativa fu Vincenzo Casagrande, segretario particolare di Mons. Eugenio Carlo Valussi, carica che ricoprì fino al 1903, quando il vescovo morì. Ai tempi di Mons. Celestino Endrici divenne titolare della cattedra di catechesi nel seminario teologico e, dal 1908, della cattedra di Arte sacra e Archeologia cristiana, istituita in quell’anno sull’esempio di quanto Adrian Egger aveva fatto a Bressanone. E Bressanone appunto sarà il modello al quale Casagrande si ispirerà nel concepire l’idea della fondazione di un museo diocesano. Nel 1905, in occasione del XV centenario della morte di S. Vigilio, venne organizzata una Mostra di Arte Sacra nella quale furono esposti dipinti, sculture lignee, paramenti, oreficerie, antichi codici provenienti anche «dalle più remote valli trentine». L’iniziativa costituì in un certo senso la premessa alla formazione della raccolta museale: per la prima volta infatti venivano esposti e messi a confronto beni ecclesiastici di differenti ambiti produttivi provenienti dal territorio. Nasceva dunque una nuova consapevolezza del patrimonio storico artistico conservato nelle chiese della diocesi. Al neo costituito museo, allestito presso il Seminario teologico, iniziarono così a confluire oggetti depositati o donati da enti ecclesiastici e da privati. Diveniva pertanto urgente elaborare uno statuto che ne regolamentasse l’attività; infatti nel 1907 venne approvato lo statuto del museo, pubblicato nel 1908 a introduzione del Catalogo del Museo Diocesano di Trento (15) redatto da Casagrande.

Il documento indicava nella finalità didattica il principale obiettivo dell’istituzione: vi si dichiarava che scopo precipuo del museo era quello di formare «il mezzo principale d’istruzione della scuola di arte sacra e archeologia cristiana del Seminario teologico al quale è intimamente unito». Grande importanza infatti veniva attribuita alla formazione di un’adeguata coscienza artistica in chi avrebbe dovuto custodire il patrimonio di arte sacra: il museo aveva il compito di offrire ai seminaristi la possibilità di un confronto immediato con i materiali della storia dell’arte locale.

Lo statuto stabiliva la creazione di due sezioni, la sacra (la principale) e la profana, e le modalità di raccolta delle collezioni: gli oggetti sarebbero pervenuti al museo per donazione, per deposito o per acquisto. La prassi, in caso di deposito, prevedeva la compilazione di un modulo nel quale veniva espressamente dichiarato che il depositante conservava la proprietà del bene e poteva pretenderne la riconsegna in ogni momento. Tuttavia spesso il museo dovette effettuare acquisti, sia da privati che dalle stesse chiese. Di fronte a un fenomeno in continua crescita, quale la vendita di arredi antichi ormai dismessi, Casagrande tentò un’incessante opera di dissuasione nei confronti dei parroci disposti a «liberarsi» di tali beni per sostituirli con altri di produzione recente, complici spesso gli antiquari che proponevano scambi di questo tipo. Per entrare in competizione con le offerte avanzate dagli antiquari, il museo si vide spesso costretto a procedere all’acquisto dei beni, o quantomeno a versare una sorta di cauzione, dando luogo ad una prassi del tutto particolare che potremmo definire di acquisto-deposito. I fondi per poter procedere a tali acquisti, e comunque un sussidio annuale finalizzato al sostentamento del museo, giunsero per un certo periodo dal Ministero austriaco per il Culto e l’Istruzione tramite sollecitazione della Central Commission zur Erforschung und Erhaltung der Baundenkmale, della quale Casagrande fece parte in qualità di membro corrispondente e, successivamente, di conservatore. L’istituzione in Austria di questo organo centrale, in grado di redigere una sorta di topografia degli eventi artistici presenti sul territorio e di guidarne la conservazione, ebbe il suo punto di forza proprio nella capacità di far funzionare un’organizzazione di controllo capillare in tutti i territori dell’impero, organizzazione della quale il conservatore costituiva l’anello fondamentale. Casagrande seppe svolgere con perizia e autentica passione l’incarico che gli venne affidato, riuscendo ad operare un’attiva salvaguardia del patrimonio storico-artistico del Trentino.

Con lo scoppio della prima guerra mondiale il Seminario teologico fu requisito per essere adibito a ospedale militare; toccherà a Casagrande trovare una sistemazione adeguata alle raccolte, imballate con cura in casse e ricoverate in più depositi provvisori. Prese avvio in tal modo un lungo periodo di esistenza virtuale, se così si può dire, del museo. Dopo la fine della prima guerra mondiale ricominciarono le trattative per trovare una nuova sede. Dopo alterne vicende, verso la metà degli anni cinquanta venne individuata nell’antico Palatium Episcopatus la sede museale più appropriata. Nel luglio del 1963 il museo fu finalmente inaugurato, grazie al patrocinio del Comitato per le celebrazioni del IV centenario del Concilio di Trento come monumento permanente dell’Assise Tridentina. Diversi anni dopo, in seguito agli scavi (1964-1977) effettuati nel sottosuolo della Cattedrale con la direzione scientifica del Prof. Iginio Rogger, la basilica paleocristiana e i reperti rinvenuti nel corso della campagna di scavo furono affidati in custodia al museo.

Il riordino delle raccolte e la definizione del nuovo percorso espositivo. Criteri e obiettivi.

L’allestimento in Palazzo Pretorio delle collezioni museali aveva indubbiamente segnato una tappa importante nella vita dell’istituzione. Si trattava tuttavia di una tappa intermedia: molto, infatti, rimaneva ancora da fare, ovvero procedere alla catalogazione delle collezioni e alla selezione delle opere da inserire nel nuovo percorso espositivo. Nel 1986 l’avvio degli scavi da parte del Comune di Trento e della Soprintendenza Archeologica per il Veneto per rimettere in luce i resti dell’antica Porta Veronensis diede l’impulso per la riorganizzazione dell’ala nord di Palazzo Pretorio e, di conseguenza, per il restauro dell’intero edificio. Gli spazi dovevano essere riorganizzati espandendo l’area di visita e sfruttando in modo più razionale le potenzialità espositive del palazzo. Si voleva inoltre destinare una porzione del piano terra a mostre temporanee e conferenze, mantenendo tuttavia una stretta connessione tra quest’area espositiva e quella permanente. Parallelamente all’elaborazione del progetto di restauro di Palazzo Pretorio procedeva la catalogazione dei materiali del museo, affidata a esperti nei vari settori d’indagine, e la definizione del nuovo nucleo espositivo. Il nodo fondamentale da sciogliere era dato dalla relazione che l’allestimento doveva stabilire tra opera e spazio architettonico, un rapporto del tutto particolare dal momento che si aveva a che fare con un contenitore riutilizzato a scopo museale e con arredi liturgici decontestualizzati. Escludendo ogni rievocazione scenografica o improbabili tentativi di ricontestualizzazione, sembrava comunque opportuno mettere in relazione contenitore e contenuto, evitandone la reciproca autonomia. Si trattava quindi di riflettere attentamente sulle caratteristiche spaziali dell’edificio così da individuare un possibile dialogo con le collezioni: all’allestimento sarebbe poi toccato il compito di raccordare i rispettivi valori, delle opere e dello spazio.

Palazzo Pretorio e l’adiacente Castelletto presentano locali con caratteristiche spaziali molto diverse: la distribuzione interna dell’edificio e la peculiarità degli ambienti forniva una prima, importante indicazione che, coniugata alle differenti esigenze espositive e di conservazione delle raccolte, costituiva la premessa logica per ipotizzare il nuovo percorso espositivo. Venne pertanto seguito un criterio guida: esporre separatamente le collezioni, in modo tale da valorizzare le caratteristiche di ciascuna raccolta, con grande attenzione ai problemi conservativi che ciascuna raccolta poneva, ma al contempo valorizzando destinato alla loro esposizione. Si era consapevoli del fatto che una scelta di questo tipo implicava la perdita di una visione globale delle singole epoche storiche, ma si era altrettanto consapevoli che l’edificio poteva prestarsi alla contemporanea esposizione di parati, oreficerie, dipinti, altari e codici miniati. Nella porzione dei primi due piani più vicina alla torre di Piazza si ipotizzò pertanto di esporre la raccolta di pittura, secondo un percorso cronologico che si snodasse tra Quattrocento e Ottocento. Per problemi di spazio, non volendo affollare le sale, i dipinti di arte contemporanea rimasero esclusi dall’esposizione permanente; per queste testimonianze pittoriche e per le altre raccolte escluse dall’esposizione permanente si ipotizzò invece l’ostensione nell’ambito di mostre temporanee. La selezione operata poneva a fianco di artisti locali presenze veronesi, veneziane, lombarde, altoatesine e austriache, particolarmente significative per delineare i contorni dell’arte trentina, ampiamente debitrice nei confronti delle scuole dei limitrofi centri culturali. L’ultima sala della sezione avrebbe riunito ritratti di Principi Vescovi, selezionati sulla base della qualità pittorica dei dipinti.

La grande sala che funge da passaggio con la porzione più antica dell’edificio vide confermata la destinazione già assegnata in precedenza, ovvero l’ostensione della famosa serie di arazzi fiamminghi, realizzati all’inizio del XVI secolo da Pieter van Aelst. Le salette successive e la cappella vennero riservate alla raccolta di scultura lignea: i grandi Flügelaltäre che il museo conserva trovavano infatti in un ambiente suggestivo, carico di rimandi e di spiritualità, quale la cappella, il loro naturale spazio espositivo. In questo caso si è preferito circoscrivere l’esposizione a un periodo ben preciso, compreso tra la fine del XIV e la metà del XVI secolo: il nucleo più significativo della raccolta rientra appunto in quest’arco cronologico. Le presenze sei e settecentesche sono invece per lo più frammentarie e di qualità mediamente bassa, tali dunque da giustificarne l’esclusione. Il “problema” che il percorso propone è quello del confronto, del parallelo coesistere e, verso la metà del ‘500, del curioso compenetrarsi tra due differenti ambiti produttivi, riferibili a una diversa committenza: l’italiana, legata alle esperienze della plastica padano-veneta, e quella delle comunità di lingua tedesca, legata a espressioni artistiche di netta impronta germanica. Il piccolo vano adiacente alla cappella, relativo al corpo di fabbrica eretto per congiungere Duomo e Castelletto, venne destinato all’illustrazione della storia della Cattedrale.

Il sottotetto, opportunamente risistemato, avrebbe ospitato la ricca collezione di paramenti, provenienti in parte dalla Cattedrale e in parte dalla diocesi. Le vesti liturgiche disposte cronologicamente, dal XV al XIX secolo, documentano il modificarsi delle forme dei parati e l’evolversi delle tipologie tecniche e decorative dei tessuti. Accanto a una lettura storico-artistica, si voleva dar conto dell’uso liturgico che ne giustificò la realizzazione: una seconda sezione espositiva avrebbe infatti esemplificato l’insieme delle vesti che il sacerdote indossa nel corso della celebrazione e i colori liturgici che connotano l’alternarsi, rispettivamente, di celebrazioni di gaudio e di lutto. Nella parte centrale una vetrina contiene un libro di campioni di tessuto, e tre cofanetti d’avorio dipinto, appartenenti al tesoro della Cattedrale, inseriti qui per problemi di conservazione, essendo il locale completamente buio. Nella parte finale invece si espose un nucleo particolarmente significativo, riferito alla committenza del principe vescovo Giorgio di Liechtenstein. Ricami boemi e notevoli pezzi di oreficeria dovevano costituire il prezioso anello di congiunzione con la successiva sala, destinata ad ospitare il tesoro della Cattedrale.

La “sala alta”, ambiente particolarmente suggestivo, deve gran parte del suo fascino alla luce che bifore e trifore fanno filtrare e agli affacci, sul duomo e sulla piazza, che il luogo consente. In questo trionfo di luce, così dannosa per altre raccolte, l’oreficeria incontrava il proprio luogo naturale: la luce infatti esalta lo splendore e la luminosità degli ori e delle pietre preziose che a loro volta, come sosteneva Suger, abate di Saint-Denis, evocano la luce del mondo sovrannaturale, inducono la mente alla contemplazione trascendentale della divinità. Il percorso di visita dunque, in un continuo mutare di ambienti e di situazioni espositive, avrebbe trovato conclusione in ciò che un museo diocesano conserva di più prezioso: il tesoro della Cattedrale, appunto.

Il materiale, esposto secondo una scansione cronologia, dal XII al XIX secolo, illustra differenti ambiti di produzione, dalle botteghe renane, a quelle di Norimberga e Augsburg, dal Veneto alla Lombardia, alla produzione locale. Si volevano inoltre evidenziare particolari committenze, quale quella di Federico Vanga, del Cles e del canonico Ernesto Wolkenstein, e illustrare le diverse tipologie di vasi sacri. Per il suo particolare significato simbolico e liturgico, al centro della sala si pensava di porre l’urna di S. Vigilio; a documentare invece l’uso devozionale, una sorta di “armadio delle reliquie” avrebbe racchiuso i reliquiari più preziosi. Infine una vetrina doveva dar conto dell’uso di queste oreficerie, esemplificando con oggetti di varie epoche l’apparato liturgico proprio dell’altare. Nel percorso vengono inoltre trattati temi specifici: le testimonianze iconografiche del Concilio di Trento; quelle relative all’iconografia della città; la produzione di codici miniati provenienti per lo più dalla raccolta libraria della Cattedrale di S. Vigilio. Il 29 aprile Giovanni Paolo II inaugurò ufficialmente il museo così riallestito, riaperto al pubblico il 13 maggio 1995.

Dal 1996 il Museo Diocesano Tridentino ha attivato una sezione didattica con l’obiettivo di avvicinare gli studenti delle scuole all’istituzione museale. Il museo è infatti luogo di tutela del patrimonio storico-artistico ma, al contempo, laboratorio attivo di ricerca, in grado di produrre strumenti di mediazione didattica che rispondano alle richieste formative provenienti dalla scuola, oltre che ad una domanda di comprensibilità espressa da un pubblico non competente. L’esposizione museale infatti può essere equiparata ad un testo scientifico, elaborato da specialisti per un pubblico eterogeneo e non necessariamente competente: in realtà solo lo studioso può muoversi agilmente nell’ambito di quella storia ideale che il percorso museale ricostruisce, cogliendo nessi e relazioni tra le opere, decifrando segni ed immagini. Per la maggior parte dei visitatori invece il percorso espositivo, se pure strutturato secondo criteri di chiarezza e logicità, può risultare difficilmente comprensibile. E’ a questo pubblico che deve rivolgersi l’attività di mediazione culturale esercitata dal museo: di qui l’attività delle sezioni didattiche impegnate nell’elaborazione di risposte differenziate alle esigenze espresse dal pubblico adulto e dal mondo della scuola.

Oggi i servizi educativi del nostro museo accolgono circa 10.000 studenti l’anno, ai quali si aggiungono altri 4.000 utenti di iniziative didattiche rivolte al pubblico adulto, alle famiglie o ad altri target. Il museo, oltre a proseguire nella catalogazione delle proprie raccolte e ad avere in gestione la banca dati riferita ai beni ecclesiastici delle chiese dell’arcidiocesi, organizza mostre, incontri, concerti, corsi, spettacoli teatrali, percorsi in città e sul territorio; promuove progetti che mirano all’inclusione di pubblici speciali. Da un paio di anni stiamo operando anche nell’ambito della produzione contemporanea, nella convinzione che sia compito di un museo ecclesiastico quello di diventare un ‘laboratorio’ e un punto di incontro e di ricerca per la produzione di arte sacra destinata alle chiese. Un’arte che si caratterizza come la stanca ripetizione di moduli compositivi del passato e che, pertanto, non riesce ad intercettare la sensibilità contemporanea.


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Come raggiungere il museo

 

 

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Museo diocesano Tridentino

Piazza del Duomo, 18, 38100 Trento

www.museodiocesanotridentino.it

 



Ulteriori informazioni

 

Orario estivo  valido dal 1 giugno al 16 settembre

lunedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato e domenica: 10.00-13.00 / 14.00-18.00

Orario invernale  valido dal 17 settembre al 31 maggio

lunedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato: 9.30-12.30 / 14.00-17.30

domenica: 10.00-13.00 / 14.00-18.00

Giorni di chiusura

ogni martedì – 1 gennaio, 6 gennaio, Pasqua, 26 giugno, 15 agosto, 1 novembre, 25 dicembre

info@museodiocesanotridentino.it

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