L’architetto Giorgio Gualdrini, assieme ai suoi collaboratori Andrea Gualdrini e Marco Tassinari, ha da poco ultimato l’adeguamento liturgico della Collegiata di San Michele Arcangelo a Bagnacavallo: un’opera che, dopo quelle del Duomo di Faenza e della chiesa di Santa Lucia delle Spianate, gli ha permesso di rinnovare il dialogo fra storia e modernità, tra nobile semplicità ed eloquenza dei segni, secondo quanto auspicato dal Concilio Ecumenico Vaticano II.
La pubblicazione “La pietra ferita”, edita da “Carta Bianca” (https://cartabiancaeditore.blogspot.com/), sottolinea fin dal titolo la meditazione cristologica che ancora una volta ha accompagnato il progetto dell’altare.
Gli autori annotano: «Qualcuno ha scritto che la sobrietà ha una sua magnificenza. Ogni sobrietà linguistica richiede di abbreviare il molteplice fluire delle parole. I Padri definivano il crocifisso verbum abbreviatum. Abbiamo perciò deciso di incidere nel fronte dell’altare la forma stilizzata di questa “parola abbreviata”. Il nostro “segno della croce” (una dilatata tau) solca, abbracciandola, l’intera estensione del fronte del blocco lapideo che dà forma al principale “polo” della liturgia cristiana. La linea orizzontale evoca il sinuoso andamento delle braccia di Gesù crocifisso, mentre la linea verticale ne richiama il torso inarcato alla maniera delle “croci dipinte” nel XIII secolo il cui intento era quello di raffigurare – con estrema eleganza formale – il Christus patiens inchiodato al legno e ormai privo della postura eretta e gloriosa tipica del Christus triumphans. Il segno della croce impresso come un solco bianco nel fronte di questo nuovo altare non ha tuttavia le delicate flessioni tipiche delle “curvature bizantine”. Il nostro “segno della croce” è infatti modellato secondo linee leggermente increspate come per assecondare il carattere irregolarmente stratificato della pietra naturale sulla quale è caduta la nostra scelta in quanto compatibile con le cromie del presbiterio di san Michele: il “travertino noce” delle cave di Acquasanta presso Ascoli Piceno.
Questo materiale lapideo di origine sedimentaria abbina una variegata tonalità terrosa a una diffusa cavernosità che alterna buchi, fenditure, incisioni: una pietra che si potrebbe considerare “di scarto” ma che, a nostro avviso, è capace di conferire all’altare i segni cristologici delle “ferite”. Se, come è scritto nei vangeli sinottici, “la pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo” (Mt 21,42; Mc 12,10; Lc 20,17), questa pietra apparirà sempre come una “pietra ferita”: il Gesù risorto non cancella infatti i segni della passione impressi nel proprio corpo» (p.14).