Abbarbicata sullo sperone di una roccia, la piccola chiesa di San Marco, sovrasta un’area costellata da un’ampia serie di laure eremitiche. Alcune di esse, probabilmente, scomparvero, distrutte da frane, alluvioni e terremoti, ma quelle sopravvissute ai danni arrecati dal tempo testimoniano l’esistenza di una nuova Tebaide, dove i monaci si ritiravano per vivere in preghiera e in penitenza1. In fondo a questo vallone si trovava un tempo la chiesetta di San Nicola, ora ricostruito sullo stesso posto, l’antico vescovado, di cui restano pochi e insignificanti ruderi, e la chiesetta dedicata alla Madonna del Piliere.
Dai caratteri topografici del luogo, si comprende come la chiesetta di San Marco fosse usata dalla ristretta cerchia di eremiti che vivevano nelle vicinanze, e si giustifica la sua piccolezza, tale da non potere contenere che uno scarso e determinato numero di fedeli2.
La chiesa di San Marco nasce come oratorio bizantino dedicato all’ascesi comunitaria dei monaci che vivevano nelle sottostanti grotte scavate nel tufo, utilizzando il piccolo edificio per le preghiere comunitarie, per la meditazione, per i canti corali, e sopratutto per la lettura dei testi sacri.
La struttura pare che sia stata fatta costruire a proprie spese da Euprassio, protaspatario delle Calabrie, che a quel tempo dimorava a Rossano. Egli edificò questa chiesa, che ai tempi di San Nilo era dedicata a Santa Anastasia, ed in seguito a San Marco. Molti, infatti, credono che in questo luogo, prima che Euprassio avesse disposto di fabbricarvi questa chiesa, ne esisteva un’altra dedicata a San Marco, che forse andò in rovina.
Tra le tante ipotesi sulla sua originaria funzione spunta anche quella azzardata di qualche studioso secondo cui in origine la piccola chiesa costituisse la vecchia Cattedrale di Rossano. Una cosa molto dubbia e non accettabile sia per l’estrema piccolezza, sia per l’assoluta mancanza di fonti documentali.
Torniamo, però ad esaminare meglio la struttura in questione. Certamente la scelta della pianta di una chiesa avveniva, a volte, in base a pensieri teologici. Ad esempio, il quadrato, quale simbologia del mondo terreno, è una forma geometrica molto utilizzata a questo fine. Per cui la forma geometrica del quadrato viene sfruttata quale perimetro della chiesa. L’interno poteva avere una forma essenziale con una sola aula ricoprente tutta la superficie. Oppure essere suddivisa in navate uguali o differenziate nella larghezza, di solito privilegiando la centrale. Queste chiese vengono generalmente chiamate “chiese iscritte in un quadrato”. In epoca bizantina si sperimentò la tipologia in cui vedeva una croce inscritta in un quadrato dette “chiese a croce iscritta”. La tipologia delle chiese a croce greca inscritta in un quadrato segue una tradizione costruttiva già in uso in epoca romana, mutuando le forme dell’architettura funeraria3.
La chiesa iscritta, evolutasi a partire dall’VIII-IX secolo da forme tombali d’epoca romana, con la caratteristica di possedere quattro pilastri a divisione di tre navi con copertura a botte formanti una croce a bracci eguali, con al centro, la parte più alta, sormontata da cupola semisferica. Le tre navi culminanti nel presbiterio in tre absidi a calotta con pianta semicircolare. In corrispondenza dell’abside centrale, leggermente più amplia delle altre due, vi è l’altare consacrato; gli altri due altari minori sono destinati alla preparazione dell’eucarestia e a riporre gli oggetti sacri. Questa tipologia è esemplarmente rappresentata in Puglia dalle chiese costruite di S. Pietro d’Otranto, seguita dalla vicina chiesa di Castro e da S. Andrea di Trani4.
L’assenza di elementi e dati storici riguardo quest’unico monumento, non consente di dare una precisa datazione, che sulla base di interpretazioni stilistiche e critiche oscilla tra il IX e il XII secolo. Le analogie planimetriche con la Cattolica di Stilo fanno propendere per una massima collocazione cronologica dei due episodi, che si è ormai nella maggioranza concordi a porre in relazione con la produzione architettonica cosiddetta “deutoterobizantina”, del X-XI secolo. Anche la funzione originaria dell’edificio, come già accennato in precedenza, non è stata accertata: verosimilmente fu il centro delle limitrofe laure eremitiche, ma non si può escludere la sua identificazione con l’oratorio annesso al distrutto monastero femminile di Sant’Anastasia.
La struttura ubicata su un banco calcareo nel settore sud orientale del centro storico, ha subito nel tempo una serie di aggiunte e manomissioni – oltre a restauri resi necessari dai danni del terremoto del 1836 -, che tuttavia non ne hanno compromesso irreparabilmente la fisionomia originale. Opere di abbellimento furono compiute in età barocca, quali il soffitto “di tavole rusticamente a rosoni” e un nuovo altare.
Nel secolo scorso la chiesa è stata utilizzata come cimitero dei colerosi. Fra il 1926 e il 1931, a cura della soprintendenza alle antichità bruzio-lucane, fu condotta una campagna di restauro diretta dal soprintendente Edoardo Galli, con la collaborazione di Pietro Lojacono, grazie alla quale è oggi possibile una più aderente lettura del monumento.
Alla chiesa di San Marco vi si accede, superato il cancello che chiude lo slargo antistante il fianco settentrionale della chiesa, attraverso un vestibolo quadrangolare addossato alla fronte occidentale. Questo vano – con tetto a capriate frutto di restauro – è un’aggiunta posteriore rispetto al corpo della chiesa, e fu probabilmente realizzato per ospitare un accresciuto numero di fedeli. Alcuni hanno ipotizzato sostituisse un primitivo nartece, di dimensioni minori.
La chiesa, se si esamina la sua struttura originaria, presenta affinità con la Cattolica di Stilo: medesima è la pianta, a croce greca inscritta entro un perimetro quadrato e conclusa ad est da tre absidi semicircolari uguali, pressappoco uguali le dimensioni, simile il coronamento a cinque cupolette su tamburi cilindrici.
Le foto sono per gentile concessione dello stesso autore.
Note bibliografiche
1 Musolino G., Santi eremiti italo greci. Grotte e chiese rupestri in Calabria. Rubbettino 2002, pag. 105.
2 Loiacono P., Restauri a monumenti della Calabria e della Basilicata / d’Italia, Anno 25, ser. 3, n. 1 (lug. 1931), p. 43-47.
3 Kruautheimer R., Architettura paleocristiana e bizantina, Torino 1986, p. 380.
4 In generale su queste chiese cfr. L. MONGIELLO, Chiese di Puglia. Il fenomeno delle chiese a cupola, Bari 1988.
Altra bibliografia consultata:
- Burgarella F., “La Calabria bizantina (VI-XI secolo)”. In San Nilo di Rossano e l’Abbazia greca di Grottaferrata. Burgarella F. (a cura di): Comitato nazionale del millenario della fondazione dell’abbazia greca di S. Nilo a Grottaferrata, 2009, pp. 19-38.
- Burgarella F., “Rossano in epoca bizantina”. Daidalos, 2003, Vol. III, n. 3, pp. 10-15.
- Roma G., “Rossano tra tardo antico e alto medioevo: la documentazione archeologica”. In San Nilo di Rossano e l’abbazia greca di Grottaferrata. Burgarella F. (a cura di): Comitato nazionale del millenario della fondazione dell’abbazia greca di S. Nilo a Grottaferrata, 2009, pp. 39-53.
- Roma G., “Monasteri bizantini fortificati sul territorio della Calabria settentrionale. Problemi archeologici e Lettura.”. In Histoire et culture dans l’Italie byzantine: Ecole Française de Rome, 2006, Collection de L’Ecole Française de Rome Vol. 363, pp. 505-514.
- Fiorenza E., “La Cattolica di Stilo”. Laruffa Editore, Reggio Calabria 2016.