Da quasi centocinquanta anni il territorio umbro è punteggiato da una moltitudine di chiese parrocchiali caratterizzate da uno stile uniforme e riconoscibile, ispirato all’architettura medievale di molte delle sue città reinterpretata secondo i canoni eclettici di fine Ottocento. Si tratta delle chiese leonine, che traggono la propria denominazione da Leone XIII, al secolo Vincenzo Gioacchino Pecci, vescovo della diocesi di Perugia per oltre un trentennio divenuto papa nel 1878. La costruzione diffusa di tali chiese, distribuite nel territorio compreso tra i centri di Perugia, Marsciano e Castiglione del Lago, prende avvio nella seconda metà dell’Ottocento quando Pecci, profondamente consapevole degli epocali mutamenti in corso nell’assetto politico-amministrativo della nazione e della progressiva disgregazione del potere della Chiesa, decide di intraprendere un progetto culturale capace di consolidare l’immagine della diocesi, costellandola concretamente di una rete di edifici-delegazione idealmente riferiti al capoluogo.
Nel 1846, subito dopo la nomina episcopale, Pecci compie la prima visita pastorale nel territorio della diocesi e prende atto della consistenza e dello stato del patrimonio ecclesiastico, impegnandosi prontamente per rigenerarlo mediante la ristrutturazione o la nuova edificazione di numerose chiese: al 1873 sono attivi ben 54 cantieri, destinati ad aumentare numericamente negli anni a venire. Per innovare in maniera tanto radicale le chiese parrocchiali della diocesi perugina, Pecci si avvale dell’operato di una nutrita équipe di progettisti (tra cui risaltano le figure di Giovanni Santini, Nazareno Biscarini e Guglielmo Calderini), uniti dalla comune formazione presso l’Accademia di Belle Arti di Perugia, che contribuiscono al radicamento e alla diffusione nel territorio dei dettami stilistici propri del periodo eclettico. In particolare Nazareno Biscarini, autore di opere rappresentative in diversi centri umbri, interviene come progettista in oltre trenta edifici sacri tra il 1866 e il 1905, meritando l’appellativo di “architetto delle chiese” e concorrendo in misura sostanziale alla definizione della rinnovata immagine della diocesi.
Proprio Biscarini rappresenta il trait d’union tra le chiese leonine e la maggiore fornace umbra attiva nel periodo in esame: il laboratorio artistico fondato da Raffaele Angeletti e Francesco Biscarini (fratello di Nazareno), eminenti scultori anch’essi formatisi presso l’Accademia di Belle Arti perugina. Eccellenti modellatori di terrecotte a stampo, i due mettono a punto un efficiente sistema produttivo componendo un abaco di elementi decorativi cui tutti i progettisti dell’epoca, non soltanto locali, attingono per le loro realizzazioni, che proietta in breve la “Premiata Fabbrica” alla ribalta internazionale. La sede del laboratorio artistico, situata a Perugia in via del Laberinto, è ancor oggi fortemente riconoscibile per la presenza in facciata di numerosi elementi decorativi in terracotta, autentico catalogo al vero dei prodotti della fornace. Anche il diffuso ricorso all’impiego di terrecotte artistiche si contestualizza nella riscoperta e nella valorizzazione delle tradizionali vocazioni produttive del territorio che caratterizza il periodo eclettico: nel caso umbro, la più salda di esse è legata proprio alle oltre 130 fornaci attive in questo periodo, distribuite in 35 centri delle due province ma in alcuni casi significativamente concentrate in specifici comprensori, tra cui la strada marscianese, nota come “via del laterizio”. Non a caso, molte chiese leonine si addensano lungo tale direttrice, dato da mettere anche in relazione con la più agevole reperibilità dei necessari materiali da costruzione, tra cui predomina il laterizio, affiancato frequentemente dalla pietra serena, anch’essa estratta nelle cave locali.
Il rilievo architettonico e la catalogazione delle chiese leonine evidenziano come, pur mostrando una certa varietà di modelli, esse siano caratterizzate da attributi formali omogenei; un raffronto critico sistematico consente di evidenziarne alcune “invarianti tipologiche”, indizi lampanti dell’appartenenza a un sistema organico: oltre al disegno della facciata, in genere di stampo neogotico, i rosoni, i portali, l’apparato decorativo sottogronda e le torri campanarie costituiscono gli elementi nodali in cui analogie e ricorrenze non solo compositive, ma anche proporzionali e costruttive ribadiscono potentemente la spontanea invenzione di uno stile. Stile che non si estingue con la nomina papale di Leone XIII, ma che anzi da questo mutamento trae nuova linfa vitale, complice il documentato legame tra Pecci e la diocesi di provenienza; stile, inoltre, che assume la forza per spingersi oltre i margini fisici dell’attuale archidiocesi di Perugia-Città della Pieve sconfinando ad esempio nel distretto territoriale ternano, laddove nuove evidenze consentono di documentare la paternità “leonina” di alcune chiese, segno inequivocabile di un radicamento e di un consolidamento progressivo protrattosi per decenni oltre il periodo in cui l’operato di Pecci e della sua squadra sono stati finora ricondotti. Prodotto di una complessa congiuntura di fattori catalizzatori di natura storica, culturale e territoriale, le chiese leonine caratterizzano in maniera inconfondibile il territorio regionale e rappresentano oggi una delle cifre distintive dell’architettura recente in Umbria. Tanto da configurarsi come identità paesaggistica da tutelare, promuovere e valorizzare.
Nota
Il rilievo architettonico e la catalogazione delle chiese leonine diffuse nel territorio umbro sono stati eseguiti nell’ambito del dottorato di ricerca in Ingegneria Civile, cfr. Valeria Menchetelli, Rilievo architettonico delle chiese leonine nel territorio umbro, tesi di dottorato di ricerca in Ingegneria Civile, XXI ciclo, Università degli Studi di Perugia, 2009 (coordinatore prof. ing. Claudio Tamagnini; tutor prof. ing. Paolo Belardi). Cfr. anche Valeria Menchetelli, Le chiese leonine in Umbria. Rilievo architettonico di uno stile, Perugia, EFFE Fabrizio Fabbri Editore, 2012.