Presentiamo i risultati della seconda edizione del workshop accreditato presso la Scuola di Architettura Urbanistica e Ingegneria delle Costruzioni del Politecnico di Milano sul tema: Church for the Future. Architettura spirituali e innovazione urbana, della cui organizzazione sono stati patrocinatori l’Arcidiocesi di Milano, l’8xmille alla Chiesa Cattolica, la Fondazione Frate Sole di Pavia. Il laboratorio intensivo di progettazione è stata svolto da un gruppo selezionato di 14 studenti di 6 differenti nazionalità i quali hanno seguito il percorso didattico (che attribuisce 4 CFU) ideato e condotto da Tino Grisi per rintracciare una visione aperta e non conformista dell’edificio liturgico e fondarne una nuova presenza nella città.
Questo esperimento didattico si è con successo ripetuto sotto la responsabilità del prof. Marco Bovati, ospitando le comunicazioni di altissimo profilo intellettuale di padre Andrea Dall’Asta, direttore della Galleria San Fedele di Milano; mons. Giuseppe Scotti, responsabile dell’Ufficio beni culturali ecclesiastici dell’Arcidiocesi di Milano; Francesca Leto, della Facoltà teologica dell’Italia Centrale; don Umberto Bordoni, direttore della Fondazione Scuola Beato Angelico; Andrea Longhi, del Politecnico di Torino; Fulvio Adobati, dell’Università di Bergamo. Gli studenti, supportati dal tutor Andrea Marcuccetti, hanno potuto confrontarsi con Luigi Leoni, presidente della Fondazione Frate Sole, gli architetti Danilo Lisi e Carlo Capponi, i docenti del Politecnico di Milano: Marco Borsotti, Eleonora Bersani, Andrea Gritti, Filippo Orsini i quali hanno discusso e sviluppato le loro intuizioni progettuali.
Due dei cinque progetti presentati concernono l’area dell’erigendo Villaggio Olimpico per i Giochi invernali del 2026, all’interno della rigenerazione urbana dell’ex-scalo ferroviario milanese di Porta Romana. Qui, in un ambito aperto individuato tra le stecche che compongono il quartiere per la residenza degli atleti (poi convertibile a studentato) l’esercizio progettuale è stato quello di individuare il posizionamento e l’architettura della Cappella urbana, intesa quale spazio del silenzio e del raccoglimento per una comunità fluida e sempre in mutamento.
Jordan Lo Vecchio e Alessia Rosa hanno interpretato questa occasione come messa in opera di un nodo identitario, attraverso una forma di ritrovamento di giaciture stratificate. Il fascio di binari che occupava l’area in corrispondenza del fabbricato superstite della rimessa ferroviaria viene riportato alla luce come una seria di linee parallele autoilluminate che solcano e intersecano la griglia definita dai nuovi edifici, innestando nel disegno dello spazio aperto la metafora del cammino. Nel luogo baricentrico individuato da questa sovrapposizione si situa la minuta architettura spirituale, la cui misura apre una nuova disponibilità tra la massa incombente degli edifici alti; la sua sottile brillantezza ramata esterna si rovescia nello scabro interno, dove le masse murarie scavate appena si toccano, permettendo alla luce e all’aria di animare, nello spazio, la sinestesia del raccoglimento.
Yunan Xie e Lekai Yu adottano, invece, il tema del giardino come atto di creazione di una centralità capace di creare una relazione progressiva di vicinanza, basata sull’evoluzione positiva degli stati d’animo delle persone. La mappa del Paradiso terrestre è impressa sul suolo del Villaggio definendone rigidamente i confini, lasciando poi che si esprima in modo organico la presenza acquea dei “quattro fiumi”: essi attraversano fluidamente il giardino il quale poi si disperde, frantumandosi nello spazio-piazza laterale. All’incrocio dei corsi d’acqua nasce la cappella, appena ribassata dalla quota del terreno e sospesa sul fossato come un volume cilindrico continuo di terra cruda che si risolve nella copertura a cupola; la luce piove dall’oculo superiore e si riverbera sul pavimento di cotto lombardo dal taglio vitreo alla base, come segno della disponibilità e della riflessione.
Tre proposte riguardano l’area di Santa Giulia nel comparto di rigenerazione urbana Montecity-Rogoredo dove un’area inserita nel “Piano chiese” del PGT della città di Milano e una sua significativa estensione a scala territoriale sono state oggetto dei temi della Dimora comunitaria e del Parco spirituale.
Quest’ultimo rappresenta la novità della seconda edizione del workshop (aperta anche agli studenti dei corsi di laurea in urbanistica) ed è inteso come tentativo nascente di ospitare più fedi sullo stesso territorio, in uno scenario aperto e sostenibile di coesistenza. Il “tavolo urbanistico” di Paul-Louis Augustin, Luca Mainini, Maria Raquel Martinez e Caterina Morciano propone una variante planivolumetrica al masterplan in attuazione: essa consente di trasformare la porzione di parco interposto tra il quartiere di Santa Giulia e lo sviluppo futuro in luogo a gradiente di prossimità differenziato, dove gli edifici per i culti cristiano, islamico ed ebraico si situano, incernierati e variamente orientati, sullo sfondo della “architettura ponte” condivisa del centro socio-culturale. Il sagrato comune raccoglie i passi delle persone e le conduce liberamente a una nuova prospettiva d’uso, mentre delle corti alberate compongono una “radura” dove ogni espressione religiosa trova la propria identità nel rapporto simbolico con l’acqua e la natura.
Alle prese con il tema nuovo e affascinante dell’edificio ibrido, Ernesto Bianchino, Luisa Galimberti e Matteo Tiddia si affidano al movimento e alla trasparenza per definire un orientamento che sia insieme urbano e teso alla verità spirituale. La costruzione riferita alle direzioni cosmiche è un susseguirsi a spirale di soglie e spazi che invitano e conducono dall’aperto preparatorio alla pulsione escatologica; fulcro dell’abitare della comunità cattolica è l’architettura di un “ciborio” tramato da fenditure lignee il quale raccoglie sotto di sé le “bolle” spaziali del battistero, dell’aula liturgica e dell’ambiente di plurimo uso. Il labirinto, simbolo della multiprospettività dello spazio santo, ne schiude l’accesso secondo un libero fluire erratico che può poi concentrarsi nell’avvolgimento degli ambienti curvilinei. Il modello liturgico scelto per la celebrazione è l’anello aperto, dove l’assemblea circonda l’altare rimanendo disposta verso l’oltre.
Raccogliere e accomunare nella varietà è il motto del progetto di dimora comunitaria steso da Ahmet Hayta, Filippo Molinari e Alessia Viola che partono da un imprinting artistico, dove segni costruttivisti e il riferimento ideale alla proporzione aurea si trasformano via via in una trama architettonica complessa. Il susseguirsi sincopato dei volumi e le tracce della loro compenetrazione rivelano gli aspetti cardinali di questa nuova impostazione tipologica: il cammino preparatorio che si fa sistema di movimento interno, la valenza degli spazi atriali come luoghi per allestire diversificati scenari d’uso per la comunità, l’aula liturgica in cui due ali assembleari racchiudono il centro vuoto dove “Egli abiterà con loro”. Nel XXI secolo non vi è chiesa se non nell’unirsi in una stessa ambientazione architettonica di luoghi che formano un circuito di riconciliazione e sono incoraggiante simbolo della credibilità della fede.
TAVOLE
Lo Vecchio – Rosa
Xie – Yu
Augustin – Mainini – Martinez – Morciano
Bianchino – Galimberti – Tiddia
Hayta – Molinari – Viola
GALLERIA DEL WORKSHOP