di Leonardo Servadio
Il volume dedicato alla chiesa, progettata dall’arch. Giuseppe Di Vita e inaugurata nel 2007, è stato presentato domenica 9 giugno 2014 in un convegno con la partecipazione delle storiche dell’arte Nadia Rizzo e Aurelia Speziale, del Parroco, Don Angelo Spilla, degli architetti Vito Corte e Santo Eduardo Di Miceli (quest’ultimo curatore del volume edito da Salvatore Sciascia) e di Leonardo Servadio. Nella sua introduzione al libro, S.E. Mons. Mario Russotto, Vescovo di Caltanissetta ha scritto: Maria “è donna di periferia… Ma Dio non fa distinzioni, Egli non va a Gerusalemme e neanche Gesù morirà a Gerusalemme, ma alla periferia di Gerusalemme… Sono molto grato ai progettisti che, con l’ispirazione di padre Giovani Speciale, hanno concepito questa casa così accogliente perché raccolta…”.
A prima vista si potrebbe parlare di domus ecclesae, la casa-chiesa dei primi cristiani. Le domus ecclesiae erano ville che le famiglie possenti mettevano a disposizione delle comunità e diventavano luoghi di incontro in cui si celebrava, dotati di spazi preposti all’esercizio della carità.
Ma questa di San Cataldo non è una domus ecclesiae, bensì una ecclesia domus: una chiesa che diventa casa, invertendo il percorso compiuto nell’antichità.
Nel passato recente, a seguito del Concilio, molti hanno pensato di ritornare al primitivo nitore, alla originaria purezza, togliendo la fastosità e la grandiosità cui ambivano spesso le chiese del passato.
Vi sono stati casi di chiese disegnate in modo tale da confondersi tra le case delle delle città.
Si è osservato che questo “ritorno” ha un che di artificioso, non è stato frutto di necessità, bensì di interpretazione, non è dotato di una cogenza.
Nell’epoca paleocristiana le chiese non c’erano, come invece ci sono state in questi diciassette secoli trascorsi dopo l’editto di Costantino e Licinio (313). La casa “della comunità” era adatta alle piccole comunità. Quando l’Editto di Milano ha liberato la possibilità di esercitare il culto in luoghi pubblici e ha reso le proprietà alle comunità cristiane, sono sorti edifici più grandi, ed erano le basiliche: i luoghi ove nel mondo romano si solevano svolgere le attività pubbliche: mercato, tribunale, ecc.
Oggi, con tutta la storia trascorsa, con una società che è meno pregna di cristianesimo di quanto non lo fosse in passato, ma dove forse le comunità cristiane sono più consapevoli e coloro che praticano la fede lo fanno per scelta prima che per abitudine generalizzata, progettare una domus ecclesiae appare anacronistico.
Diverso il caso di una “chiesa della casa”, o di una chiesa che diventa casa, come questa progettata da Giuseppe Di Vita a San Cataldo.
Perché in questo caso abbiamo che quel che era un tempo la basilica, l’edificio eminente, si rivolge a una comunità che trova la propria intima verità nell’incontro e nella celebrazione e, mentre si spoglia del fasto, annuncia anche con forza la propria presenza, senza nascondersi nel tessuto urbano.
Con la chiesa casa si manifesta una presenza che non esprime “potere” ma “servizio”. Cosa dice dunque la chiesa-casa? “Ecco, puoi entrare, questa è anche la tua casa. Ma non è una casa qualsiasi, è la casa dell’incontro, dei fedeli riuniti nel nome del Padre. Come vedi è tutto trasparente, ma qui sarai protetto. È la casa di tutti ma tu la sentirai completamente tua, e ci starai bene insieme con tutti gli altri”.
Possiamo guardare al profilo architettonico. In questo caso la prima associazione è con la chiesa di Riola di Vergato di Alvar Aalto, con la sua copertura a semi-volta che si rivolge a un lato come per attingervi la luce: là dove scorre il fiume oltre il quale sta il villaggio di Riola.
Così, allo stesso modo, a San Cataldo la chiesa di Maria di Nazaret si rivolge al quartiere.
Le chiese anzitutto devono significare qualcosa, e qualcosa che va al di là della forma stessa.
Non è tanto importante la forma di una chiesa, quanto quel che l’edificio dice di sé, non in quanto scultura o in quanto opera d’arte, ma nel modo in cui si rivolge alle persone.
Un edificio può dire “accoglienza” e questo esprime Maria di Nazaret. Come anche la chiesa di Riola.
Appare evidente che nella chiesa di Nazaret, Giuseppe Di Vita desidera presentare l’immagine della casa che accoglie, e desidera renderla particolarmente luminosa.
Se la volta fosse stata completa avrebbe espresso il senso della compiutezza, della conclusione: la “semi-volta” che copre la chiesa di Maria di Nazaret esprime invece l’apertura: la conclusione avviene nel momento in cui la comunità si raccoglie al suo interno: solo allora l’architettura è compiuta. E la copertura, nel movimento dell’abbracciare un ampio orizzonte di spazio al di fuori dell’edificio, guarda alle persone dell’abitato.
Questo significato oggi è particolarmente rilevante. Perché la Chiesa cerca proprio questo rapporto con l’altro, e gli altri sono i molti che si sono allontanati dalla Chiesa, ma che comunque hanno bisogno di quella speranza che solo la Chiesa sa e può dare…
La Chiesa si rappresenta attraverso le sue chiese. Quando era trionfante eccola svettare nel Gotico, se doveva contrapporsi alla schiettezza asciutta, nordica e luterana, eccola rivestirsi di splendore celebrativo nel Barocco.
Oggi è una Chiesa povera e desiderosa di esprimere l’afflato verso gli ultimi, ma senza rinunciare alla propria nobiltà nel nome della semplicità, come è avvenuto a volte ostentosamente con le case-chiesa della fine degli anni ’60. La ricerca del servizio agli altri, nel cosciente rigore del proprio legato storico di testimonianza e anche di importanza: questo si può vedere riflesso nella chiesa di Nazaret. Perché le case chiesa degli anni Sessanta si nascondevano, mentre questa emerge, pur restando semplice e accessibile. Grande ma raggiungibile. Soprattutto chiaramente chiesa, casa della comunità, luogo dell’incontro.
E il suo essere “della comunità” è tra l’altro testimoniato dalle tante pitture esposte nelle sale parrocchiali, compiute e offerte da diversi fedeli, alcuni dei quali artisti professionisti, che riprendono diversi episodi della vita di Maria inquadrandoli tutti in un contesto in cui compare anche l’architettura della loro chiesa: una chiara manifestazione di quanto essi la sentano propria.
CREDITI
Progetto: Arch. Giuseppe Di Vita.
Committente: Sac. Angelo Spilla.
Consulente liturgico: Mons. Giovanni Speciale.
Calcoli c.a.: Ing. Salvatore Andaloro.
Progetto impianti: Ing. Calogero Arcarese.
Collaudatore: Ing. Filippo Maria Vitale.
Il libro “Santa Maria di Nazaret. Una tenda in cui si celebra la presenza di Dio in mezzo a noi” (184 pagine con foto a colori, 28,00 euro) è pubblicato, a cura di Angelo Spilla e Santo Eduardo Di Miceli, da Salvatore Sciascia Editore.
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