Santuario Mariano di Monte Grisa, Trieste
Federico Bulfone Gransinigh
Nacque da un voto alla Vergine, per salvare la città dai bombardamenti del 1945, fatto dall’allora vescovo di Trieste e Capodistria Antonio Santin (1895-1981) e dalla mano dell’ingegner Antonio Guacci (1912-1995). Identificato come simbolo di Pace rappresenta, allo stesso tempo, la multiculturalità e la pacifica convivenza dei popoli della Trieste mitteleuropea. Diviene anche un esempio di perfetta collaborazione fra committente e progettista.
Il tempio nazionale dedicato a Maria Madre e Regina si staglia da un’altura carsica a 330 metri sul livello del mare ed è visibile da tutto il golfo triestino.
Eretto fra il 1963 e il 1965 si colloca a pieno titolo fra quelle chiese postconciliari caratterizzate da spazi e materiali nuovi, concepiti per una maggior partecipazione dei fedeli all’eucarestia e un nuovo linguaggio materico.
Nel disegno si riscontrano richiami alle proporzioni classiche che consegnano all’occhio del fedele un volume in cui la luce e le trame del cemento armato giocano creando spazi e definendo funzioni.
All’esterno, in parte, queste sensazioni sono smorzate dalla mole austera e dalle superfici lasciate a vista. L’elemento generatore è il triangolo isoscele che, con i suoi tre lati, possiede valenze simboliche riconosciute dallo stesso progettista e descritte in maniera chiara dalla lettura delle emergenze.
I triangoli generano lo spazio e stigmatizzano riferimenti chiari alla dedicazione, ma questa figura ritornerà in molti progetti di Guacci e si porrà come modulo generatore delle sue architetture in cui, forse, non è chiaro il limite fra composizione e reticolo strutturale. Quest’ultimo è ricercato, composto da elementi modulari e autoportanti in cemento armato. Si genera così un’architettura nella quale è «quasi impossibile separare i fatti statici da quelli spaziali» come affermerà Sergio Musmeci, noto ingegnere strutturista chiamato a certificare i calcoli statici.
Il memoriale, di luce e cemento, ha un’altezza di circa 40 metri con una superficie dell’aula inferiore di 1600 metri quadrati e di quella superiore di 1500 metri quadrati. Anche il prospetto esterno è il frutto della composizione di forme triangolari simbolicamente e strutturalmente legate.
Il trattamento della luce, nelle due aule superiore e inferiore, avviene in metodi diversi che consentono una fruizione differenziata dello spazio attenta anche alle necessità dei fedeli e dei riti. L’aula superiore, grazie alle grandi vetrate e alla trasparenza, creata tramite la maglia triangolare in cemento armato, permette una penetrazione della luce quasi diretta, leggermente filtrata, che crea un’immediata relazione fra il cielo, il mare e la vegetazione carsica dell’intorno. La chiesa inferiore, invece, pur essendo leggermente più ampia, è illuminata da fasci di luce che, contrastando fortemente con la penombra dell’ambiente, infondono a questo spazio una sensazione d’immediato raccoglimento e silenzio.
La figura poliedrica di Antonio Guacci, progettista, artista e docente universitario, ha lasciato così alla città di Trieste un segno indelebile nel panorama dell’architettura religiosa a cavallo del Concilio Vaticano II; in essa si possono scorgere riferimenti internazionali e istanze dell’ingegneria fra le più nuove nel panorama di quel tempo.
Le foto sono per gentile concessione del Rettore del Santuario padre Luigi Moro.